Lila. Marylinne Robinson. Einaudi
Cosa funziona:
1. L’intensità
della scrittura e la bontà delle scelte espressive. Dicesi talento, una cosa di
cui si sente sempre più il bisogno, e che in mezzo a tanta immondizia splende
di purezza (9)
2. La storia. Da
tempo aspettavo qualcosa di simile. Era ora che Einaudi la piantasse di pubblicare
Patrick Modiano – purtroppo lo fa ancora, come pubblica molti altri
inqualificabili, ma per fortuna poi tira fuori dal cilindro la Robinson – e
tornasse ai suoi vecchi standard. Ci sono la ricerca di un’identità e l’ossessione
del passato, la diffidenza e la difficoltà di far emergere i sentimenti. Tensione
lirica, un tocco di calvinismo, duro e dolce nel contempo. Con un occhio a Faulkner
e uno a Dostoevskij (9)
3. L’atmosfera e
l’ambientazione del romanzo, ricostruite con cura e con una pertinenza, con una giustezza
e una poetica folgoranti (9)
4. Carattere di
stampa, impaginazione, riferimenti: una raffinatezza degna del
contenuto. Altro che alcune schifezze grafiche del nuovo corso: lunga vita alle collane storiche Einaudi – fatti i debiti scongiuri
(9)
5. L’ingenuo
realismo e l’acutezza delle domande che si pone, strada facendo, la
protagonista. Atto di consapevolezza semplice e profondo, in un territorio d’illusione
disarmante (8)
Cosa non funziona:
1. Qualche salto
di “io narrante” e qualcuno temporale di troppo. Ci stanno, anzi, direi che ci
vogliono, però in un lettore abituato a ben altre linearità, e diseducato dalla
carta straccia attuale, possono causare un principio di straniamento. Achtung:
non sto parlando di un difetto, una magagna concreta, è solo la più severa – e forse
l’unica – nota che posso muovere ad un lavoro simile. E il voto è basso ma non
negativo. Eccezione alla regola (6)
Poche volte la “malattia della solitudine” è stata detta così bene. Un libro
sull’amore, un amore impossibile, e sul potere di redenzione della tenerezza. La
media aritmetica dell’8,3 pare fino ingenerosa.