Il Gatto che aggiustava i cuori. Rachel Wells. Garzanti
Cosa funziona:
1. L’impianto
promozionale. Il vento dell’animalismo soffia come un ghibli sia lassù (nella
terra di origine del romanzo, l’Inghilterra), sia quaggiù: gattofili di tutte
le età, unitevi. Il passaparola e il martellamento dei bloggers a pagamento
fanno il resto (9)
2. La tematica
dell’abbandono degli animali, la depressione, la violenza sulle donne, il guaio
–attuale, tanto attuale – dell’integrazione. Mescolare bene e poi trangugiare “alla
goccia” per non essere svegliati d’un tratto dalla realtà (8)
3. La scrittura
è fluida. Ogni tanto sa di favoletta, ma visto il contenuto può starci. Niente di
eccezionale, ma scivola via come l’acqua (6)
Cosa non funziona:
1. La copertina:
carino il gatto rosso, ma Alfie, ilprotagonista della storia, è grigio. Se io
facessi un errore del genere sul lavoro verrei licenziata in tronco, dopo che
il tronco me l’hanno rotto sul grugno (3)
2. Gli
argomenti, pur nobili, sono un’operazione di sociologia a scopo di lucro (4)
3. Il gatto non
ha sentimenti umani. È inutile che di quando in quando si mettono i sensi umani
agli animali: non ce li hanno, perdinci! Ne hanno altri, che sono molto più
nobili. Ma di certo quello di fare il bene per chi lo ama così che tutti
possano trovare la strada della felicità non è tollerabile neppure nei racconti
per bimbi. Ah, ma Alfie è anche esperto di arredamento, e dà lezioni di
altruismo selvaggio. Surrealismo letterario per adulti “rimbambini”
(3)
4. Il packaging.
La solita paccottiglia patinata, la solita aura di miele, il solito finale stucchevole,
la solita caduta di un ex grande editore. Possibile che Garzanti abbia nel suo team
gente incapace di scegliere buoni libri? (4)
5. Il ritmo
narrativo. A causa di descrizioni minute, una dopo l’altra, che rallentano la
corsa di una trama che già è poca roba di suo, nel leggerlo ci si sente molto
gatti: pieni di voglia di dormire e di sbadigliare (4)
Un 5,1 tirato per i capelli. Pardon, per i peli. Se lo fate apposta, gente,
ditelo.